La gestione dell’emozione nell’interpretazione del regolamento e dello sport in generale. Quando e quanto è giusto enfatizzare una prestazione di un atleta infortunato o disabile?
Il caso Roman Khrennikov
Ho tanti amici disabili, e no, non è la giustificazione iniziale per dire cose tipo “ho tanti amici gay ma…”, “il Duce ha fatto la guerra ma…” e altre banalità di sorta.
Ho tanti amici disabili e per questo il tema mi interessa.
Uno di questi è Andrea De Beni, che fa una roba che amo: i podcast. Li amo perché mi fanno compagnia nelle tante ore di auto, e quando a parlare è un CrossFitter sono pure più contento, perché unisce passione a passatempo.
I suoi podcast (La tocco Piano) sono interessanti, affrontano la disabilità dando una chiave di lettura dall’interno a un argomento che per chi non vive quella condizione è sempre molto scivoloso. Andrea in primo luogo contestualizza, soffermandosi spesso sulla complessità della crescita di una persona che non solo deve accettarsi in quanto persona, cosa che è evidentemente ardua per chiunque di noi, ma che deve anche accettarsi come diverso.
Ora non mi voglio soffermare sugli aspetti psicologici, dal momento che già sono a disagio con i miei, per cui passerei di volata alla sua puntata 7, in cui si parla del concetto per cui “il disabile vince sempre”, nello sport in generale e nel CrossFit® in particolare.
Andrea dà un’interpretazione molto personale: a lui non piace la compassione e quando va male in un wod gli piacerebbe che qualcuno glielo dicesse chiaro, anziché incensarlo per il solo fatto che ha una disabilità.
Se proprio dovessi muovere una critica a questo pensiero (che però, personalmente, condivido in pieno) è che Andrea tende ad assolutizzarlo, come se valesse per TUTTI i disabili: così non è, proprio per la complessità di cui sopra. Ma attenzione, anche fra i non disabili è uguale, esistono semplicemente persone che vogliono un giudizio oggettivo e una critica sincera, e chi invece va consolato e coccolato; esiste chi di fronte a una critica si arrabbia e si demotiva e chi invece reagisce alla grande.
Allora direi: non c’è bisogno di ENFATIZZARE una reazione con un disabile perché, alla fine, è uno come tutti gli altri, con le sue cicatrici e le sue sconfitte, con le sue conquiste e le sue vittorie.
La gestione dell’emozione in una prestazione sportiva: il caso di Roman Khrennikov
A partire da questo concetto, che, come detto, è buono per i disabili ma in realtà vale per qualunque persona, arrivo al CrossFit® e a quello di cui volevo parlare oggi: la gestione dell’emozione nell’interpretazione del regolamento e dello sport in generale.
Ai CrossFit® Games 2023 c’è stato un episodio interessante a questo riguardo: l’infortunio di Roman Khrennikov.
Di Roman conosciamo tutti la storia: escluso per anni dall’evento a causa della mancanza del visto, ha sempre lottato per riuscire ad andare a Madison, e quando finalmente ce l’ha fatta, ha compiuto l’ulteriore impresa di essere un russo adorato dagli americani, più statunitense degli statunitensi. È oggi, senza alcun dubbio, un’icona del mondo CrossFit®, un uomo dolce, buono e sicuramente un atleta fortissimo.
Tuttavia, quest’anno ha mostrato chiaramente i suoi limiti di sportivo: partenza a razzo, da dominatore incontrastato, e finale in calando preoccupante, con infortunio conclusivo a “nascondere” il crollo della performance. Non ne avremo mai la riprova, ma fin da sabato è parso evidente che Adler ne avesse di più e che il gradino più alto del podio fosse a forte rischio. A esacerbare il tutto, la forte critica dell’atleta Mayhem al canadese per il suo trash talking durante i 5km di corsa, cosa che ha sollevato dubbi sulla sua capacità di accettare la sconfitta.
Il contesto è quindi questo: un ragazzo con un “handicap” (in questo caso politico, e mi perdonerete se il paragone non è azzeccato) che proprio per questo ottiene un supporto enfatizzato, eccessivo, al di là del bene o del male.
Un ragazzo che si infortuna e al quale viene, a furor di popolo, concesso di continuare a gareggiare, cosa che a molti altri non è stata accordata (da qui il riferimento all’adattamento del regolamento). Un ragazzo che di fatto butta via una vittoria già scritta ma che porta a casa una vittoria morale in forte contrasto con il risultato sportivo conseguito.
La sensazione che questa storia mi ha lasciato, fin dal primo momento, è di amaro in bocca. È senza dubbio bello lasciarsi trasportare dalle emozioni, ma chi definisce quali sono le emozioni meritevoli e quelle no? Anni fa Buffon (altro sport e altro contesto) disse che per dare certi rigori ci voleva “un cassonetto al posto del cuore”, perché l’atteggiamento stoico della Juventus meritava che si chiudesse un occhio in quella partita. Fu ovviamente oggetto di critiche, nonostante sia poi evidente che questo tipo di “favoritismo” si verifichi in tanti contesti, e nonostante questo stesso pensiero sfiori la mente di tutti noi ogni volta che un risultato sportivo va in contraddizione con l’emozione che si sta provando.
Attenzione, non ho alcuna ricetta, alcuna verità da dispensare su questo argomento. Probabilmente, per ciascuno di noi c’è una risposta diversa, come nell’esempio che ho fatto sopra prendendo spunto dal discorso di Andrea. Parzialmente, questo discorso si lega anche al già più volte affrontato tema delle categorie nelle gare di CrossFit® e Cross Training: perché ci sono persone che si iscrivono sempre élite senza mai qualificarsi e altre che si iscrivono sempre experience anche se ogni volta vincono con distacchi siderali? [No, non vogliamo riaprire ora il discorso del Ranking, non c’entra nulla]
Lo ripeto: non sono in grado di aggiungere altro, spero solo di stimolare la riflessione. Personalmente, da aspirante giornalista, mi tocca soprattutto in ottica di giudizio e reportage di gare e prestazioni, perché è davvero difficile riuscire a far passare il messaggio che il criterio con cui si analizza è sempre quello astratto e impersonale della prestazione e mai si sposta sulla persona, che resta comunque altro rispetto allo sport.
Il sentimento e l’emozione sono elementi chiave dell’esperienza dello sport: sottomettere le regole all’emozione ha senso o ne inficia il valore?